Un servizio come tanti. Una lettera arrivata in redazione. “Sembra una bella storia. Vedi un po’ cosa ne viene fuori”, il tipico invito del caporedattore. Poi Ancona, i volti, le interviste, vite che ti si riassumono in poche ore. Tenti di afferrarne il senso, la profondità, le emozioni, l’increspatura della fronte che racconta tanto quanto le frasi che si snocciolano talvolta incerte, titubanti, pudiche; tal’altra come un fiume in piena, inarrestabili, imperiose nel palesare comportamenti, ragioni e motivazioni. E come sempre, quando ti viene presentato un intreccio di esistenze, il “servizio come tanti” diventa quell’unico irripetibile evento che in poche ore ti ha permesso, in punta di piedi, di entrare in un pezzo di vita vissuta. Cerchi di raccontarla come meglio puoi. Qualche volta alla fine sorridi e ti freghi le mani. Qualche altra storci il naso. Poi viene un’altra notizia, un’altra storia da raccontare. E riparti. Il cronista, tuttavia, quella volta, in una nebbiosa giornata d’inverno, tornò da Ancona molto colpito. Strana ragazza, pensò. Inquieta-energetica-esplosiva- puntigliosa, una folata di vento che quando soffia, soffia, fino alla meta. Implacabile con se stessa. Ma anche con gli altri, quando ne va del senso, quando capire è necessario per mettere ordine alla vita. “Posso farle avere qualcosa che ho scritto?” Anche questo non è poi così raro. Il più delle volte lo leggi e lo riponi. Niente male, pensò quella volta il cronista. Efficace, metafore ricche, un occhio indagatore e straniato, capace di vedere il nuovo in cose vecchie. Il mestiere di giornalista, come pochi altri, ti permette di accumulare un patrimonio di volti e di storie. Spesso, in angoli silenziosi della vita o riaprendo l’agenda della memoria, questi ritratti ritornano alla mente. Riappare un viso, o un’espressione, e quel pezzetto della tua esistenza che s’intrecci˜ per breve tempo ad altre vicissitudini ed esistenze con un contatto fuggevole. Ancona non fu così. La strana-ragazza continuò a scrivere, a raccontarsi. Divenne per il cronista una presenza intermittente: qualche mese di silenzio, poi una lettera, un biglietto d’auguri, un turbinio di frasi che piomba sulla scrivania, catapultato sulla scomposta montagna di carte, ritagli, plichi. Poesie, desideri, il trasferimento in un’altra città e in un’altra ancora. E delusioni, nuove gioie, il matrimonio, un bambino, il racconto nervoso di più ambiziose mete da raggiungere, i primi passi nel mondo del giornalismo. Il cronista, un bel giorno, si rese conto che queste “apparizioni narrative” stavano componendo una vita di anni, attraverso carta e calamaio, macchina da scrivere, infine computer e e-mail. Il tempo scandito dalle trasformazioni tecnologiche e da racconti, via via, di donna, di moglie, di madre, ma soprattutto di scrittrice e collega. E tuttavia il volto della strana-ragazza era sempre quello della memoria: una giovane, poco più che maggiorenne, minuta, lo sguardo irrequieto e volitivo. “Ho scritto un romanzo, vorrei che lo leggessi” (quanto le è stato faticoso il passaggio al “tu”, anche di fronte all’ineludibile “se non altro perchè siamo colleghi”). Ancora un “lo leggi e lo riponi”? Eh no. La strana-ragazza ci sa fare. C’è la storia, i personaggi sono scolpiti ed evocativi, c’è l’intrigo, c’è la battaglia interiore tra il bene e il male, le scelte decisive e irrevocabili della protagonista, il dramma della morte e quello dell’amore, che rimbalza tra una sensualitàtrasfigurata e una fisicitàdirompente. “La protagonista ha il volto-della-memoria”, pensa fra sè e sè il cronista, ha il volto della strana-ragazza. Eppure sa che non è così. Il cronista sa che fra l’autore e il narratore c’è un fossato incolmabile. Ma tutto sommato, che differenza fa? Anche le lettere, i biglietti e le e-mail erano un romanzo. A puntate, come certi racconti pubblicati dai periodici dove non sai bene quando uscirà il capitolo successivo. D’altro canto, anche questa strana-ragazza – la Vanessa del romanzo – è inquieta-energetica-esplosiva- puntigliosa. Ne va sempre della vita, in tutto ciò che fa. E che fa di straordinario? Nulla, apparentemente. é sposata, ha una bambina, vuol fare la giornalista, vive in provincia, dove questo mestiere diventa quasi inaccessibile, s’incazza, piglia cantonate, s’inguaia tra amori incompatibili, prova delusioni cocenti e si lancia in avventure impossibili. Il tutto in una piccola cittadina del marchigiano. Una storia normale, vissuta attraverso pensieri, emozioni, desideri che la trasfigurano, rendendola simbolo, sineddoche di tante esistenze inquiete come lo possono essere queste esistenze che stiamo conducendo a cavallo di due millenni. Lo straordinario nell’ordinario. L’eccezionale nel quotidiano. Accidenti, quell’occhio indagatore e straniato. Così come parlava la strana-ragazza, cos“ come scriveva. Un romanzo costellato di metafore imprevedibili. Oddio, le metafore sono sempre imprevedibili, per essere tali e vitali. Ma queste hanno il propellente di destrutturare e riconfigurare immagini, oggetti e situazioni a cui siamo troppo abituati dall’uso e il consumo quotidiano. Il romanzo finisce senza risolvere, come le lettere e le e-mail, ricevute negli anni. “Va bene, ma ora che si fa?”, pensa il cronista. “Domani, dialogherò con Vanessa, la protagonista di “Briciole di stelle”, o con la strana-ragazza, protagonista della nostra singolare, privata opera aperta, romanzo di e-mail che narrano una vita (vera?) vissuta a distanza, col volto di una giovane che non può invecchiare perchè lo custodisce la memoria?” “Beh, che differenza fa?”, pensa infine il cronista. Luciano Scalettari giornalista del settimanale “Famiglia Cristiana” |
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